L’uomo nel Diluvio… Di Lamezia Terme.

Ieri sera al tip teatro, lo spazio aperto da Dario Natale (un posto molto bello accogliente, atmosferico) si è esibito Valerio Malorni, proveniente da Roma insieme a Simone Amendola, che è responsabile della sceneggiatura. 

Personalmente mi sono incuriosito di questo spettacolo, per il titolo, e per una sensazione che mi diceva di andare a vedere questo spettacolo. 

“L’uomo nel diluvio” titolo che sarebbe ottimo per un romanzo, una canzone, una poesia… Ed è invece un’altra forma d’arte: il teatro. 

L’inizio esplosivo, urlato, esagerato, uno sfogo iniziale, rabbioso. La concentrazione del pubblico è conquistata immediatamente. Noè… Noè che era un uomo come gli altri a cui spaventano i cambiamenti improvvisi. Si paragonava Noè alla vita di un italiano che deve andare via dall’Italia per andare in Germania, a Berlino. Immigrazione, fuga di cervelli.

Una realtà che riguarda tutti noi. In quanti vorrebbero lasciare questo luogo pieno di dolori, di lacrime come dice Valerio “le lacrime sembrano un diluvio”?

Una vita più comoda, dove anche se non hai un lavoro lo stato ti sostiene, ti aiuta, e trovare impiego è più facile ma, è così facile lasciare la propria casa, questa patria, questa valle di lacrime dove nasciamo e cresciamo, ogni giorno. Maturiamo, lasciamo quindi le nostre lacrime, sacrificio dopo sacrificio. 

Molti giovani e non solo si sentono oppressi da questa società, restare o andarsene? Il dubbio eterno che resta nel dolore di chi si porta dentro lo stallo della scelta.

Valerio dice che è meglio prendere una decisione, meglio partire, quella è la vera battaglia, così si sa se si vince o si perde.

Il personaggio quindi va a Berlino, e viene chiamato per il suo spettacolo, dovrà recitare in italiano, non verrà capito da molti. 

(Non intendo raccontare l’intero spettacolo, potrebbe essere “spoiler” e togliere gusto ai prossimi spettatori, e in modo particolare vorrei descrivere solamente quello che ha colpito soltanto me.)

Quindi vado direttamente avanti, ci descrive lo spettacolo agli occhi di un critico tedesco, – mettendosi sulla faccia un quadro ritagliato solo per il suo volto – che descrive lo spettacolo solo tramite i gesti, fino a quando l’attore prova a coinvolgere il pubblico tedesco ad una danza, ma tutti si rifiutano.

Il critico dunque dice che l’attore ha dato il grande messaggio che nessuno si aspettava, rivelare la loro natura, metterli a nudo, i tedeschi come persone diverse dagli italiani, che stanno sempre ferme, che non si muovono, che non hanno neanche il diritto di arrabbiarsi per ciò che “hanno fatto ” all’umanità.

Tedeschi che invidiano gli italiani, nonostante la loro società funzioni meglio, sotto certi aspetti.

Dunque dopo che l’attore vede il suo pubblico commuoversi, si commuove anche lui, e si mette a piangere ovunque, “un diluvio fatto di lacrime”.

Il messaggio che dà, è potentissimo. Io non ho preso alla lettera (non i tedeschi, ma tutti coloro che stanno fermi a guardare le vite degli altri, insomma), e mi metto a pensare al diluvio che ci circonda, proprio mentre, alla fine, viene proiettata la scena di “Singing in the Rain” quando il protagonista appunto, si mette a cantare sotto la pioggia.

Il diluvio che ci circonda, che secondo Valerio ci fa sentire meno soli, anche se io ho visto molta solitudine, dentro quell’uomo lontano dalla sua famiglia, dalla sua casa.
Ma con quei pianti, con quel diluvio di lacrime, vedendo altre persone che “piangono per tutte le volte che avrebbero voluto, e non avrebbero voluto piangere”, la solitudine svanisce. Una metafora, sembra. Esseri umano come gocce di pioggia, come lacrime, come il diluvio…

Il diluvio delle lacrime del cielo che piange.

 

  • Paolo Pileggi

Foro do Angelo Maggio:

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