Non siamo tanto lontani
noi due,
io e te.
L’ho imparato tardi.
L’ho capito
solo crescendo.
Eppure
l’ho appreso
finalmente
ed ora nulla è grande quanto te.
Papà,
i tuoi occhi sono sprazzi di cielo
che riflettono il marrone dei miei,
i quali, come il terriccio,
guardano costantemente su
e si perdono
nello splendore del tuo blu,
sì,
perché è da esso
che tal terriccio trae le sue sostanze,
perché è evidente che esse non derivano,
no,
non derivano solo dai boschi,
né solo dalle campagne.
Il tuoi occhi sono il tuo ed il mio blu:
il necessario
per diventar concime
affinché io possa fruttare,
affinché io possa trattenere
tracce di paterna bellezza
e di divina perfezione
non compresa dai più,
ma lucente in me.
Papà,
il tuo silenzio è acqua piovana
che ristagna nel mio
in seguito ad uno scricchiolio di pioggia
che moltissimi ignorano
e che io invece ascolto e conservo,
sì,
lo faccio,
lo faccio e persisto,
perché nulla parla quanto una tua parola non detta,
perché nulla ha senso,
perché nulla lo ha,
non quanto una tua ordinaria stranezza.
Il tuo silenzio
è infatti il mio caos:
fragilità
celata
affinché non si rompa,
affinché non lasci
tracce d’umana debolezza
e di divina perfezione,
non compresa dai più,
ma lucente in me.
Non siamo tanto lontani
noi due,
io e te.
L’ho imparato ormai.
L’ho capito.
Sono cresciuta.
Ora
l’ho appreso
finalmente
ed ora nulla è grande quanto te… e me.