“Festival e no”, Cartoline dalla Calabria

Un invito a guardarci intorno

Esplode la Calabria dei mille eventi, del ‘dove andare questa sera‘ e del ‘cosa andiamo ad ascoltare’. Una Calabria in fermento che ha già scaldato i motori per la nuova estate caldissima che stiamo vivendo, veloce. E così nomi di festival culturali, concerti musicali, fiere e feste di paese, piccoli borghi pronti a rinascere, accoglienza, ospitalità e tanto altro riaffiorano nelle menti di ciascun calabrese al via con le agende in mano da riempire di appuntamenti. Non ricordo una Calabria così bella, piena di annunci e di attesa, da un bel po’ di tempo.

Ma sono proprio questi i momenti che fanno pensare ai dualismi a cui è solita affiancarsi la nostra regione. Una terra calda, bella, piena di energia, sorridente d’estate. Una terra fredda, grigia, svuotata d’inverno. Queste, in linea di massima, le due immagini che a primo acchito ciascuna mente mette a fuoco in automatico.

Ma è davvero così? O non bisogna forse decifrare meglio la verità di queste immagini ambivalenti?

È, infatti, in questi momenti troppo pieni e intensi che si compiono, complici l’enorme confusione e la frenesia, anche più errori di lettura. Ovvero, l’abitudine a interiorizzare, a portare, dunque, con sé questo dualismo che se non vissuto in maniera affermativa rischia di diventare stereotipo, luogo comune.  Uno stereotipo che porta a vedere ciò che appare e non ciò che è; ciò che compiace e non ciò che dispiace e fa pensare.

La Calabria patinata e da spot promozionale (con tanti finanziamenti e anche sprechi), quale ad esempio quella magnificamente mostrata nel video filmato sulle acque cristalline di Scilla coi suoi B&B che certo d’estate sembra prendere il sopravvento, e fare dimenticare la Calabria delle frane e dei centri abitati lasciati al degrado totale d’inverno. Questa Calabria edulcorata e perbenista non ci interessa più di tanto, dobbiamo invece pensare bene ai tanti eventi culturali, degni di nota, che si moltiplicano di anno in anno – ciò certamente non può che essere un bene, si badi – dei quali ardentemente mi faccio carico e promotrice da tempo, soprattutto del target giovanile.

Ma cosa accade mi chiedo, a questo punto, dopo la dovuta bellezza, dopo l’estetica, che con amore si decide di mettere sempre in evidenza? Cosa accade a questi luoghi/non luoghi che circoscrivono d’arte, musica, tradizione, e identità cangianti, una geografia in continuo movimento, se le donne e gli uomini del nostro tempo presente non prestano particolare attenzione a tutto ciò che si verifica intorno?  Quali sono le sollecitazioni che ci consegnano tutte queste iniziative? Quali sono, oltre alle positività, i limiti delle mille iniziative estive culturali tra loro tutte uguali e diverse? Già. Perché fino a qualche anno addietro si poteva dire di stare a respirare un’aria nuova, un clima armonioso, di resistenza e di bellezza, che aiutava l’uno a comunicare con l’altro, che ci si aiutava nel costruire questa conclamata rete. Ebbene, oggi qualcosa ci sta sfuggendo di mano e lo si percepisce dai gruppi, dalle loro organizzazioni, che sebbene orizzontali, non riescono più a comunicare neanche tra loro. O almeno, lo fanno solo in parte e non per come dovrebbero, per come forse sarebbe utile e costruttivo e giusto per questa terra che percorriamo e ammiriamo in quei giorni calendarizzati e a tutti pubblicizzati, per questa terra alla quale ci rivolgiamo dichiarando amore, passione, senso del dovere ma che, una volta finita l’estate,  venuta meno la complicità del mare e delle montagne, dei ritorni e degli arrivi, poi finiamo col girarle le spalle, e finiamo col tradirla nel suo bisogno di ascolto e di nuovo sguardo in modo del tutto naturale…

Fatica ad affermarsi, attualmente, una coscienza critica, che sia capace di individuare dei percorsi aperti e coerenti, capace di distinguere tra i tanti eventi e capace anche di dire NO quando occorre. Una consapevolezza con la forza di persuadere mantenendo intatta l’integrità, la coerenza, l’onestà. Un atto di amore e di sincerità mi porta a dire che tante manifestazioni, iniziative, festival, sempre in aumento, pure compiendo uno sforzo immane per dare un’immagine diversa e positiva della nostra terra, non riescono ad andare oltre un’autoreferenzialità di cui non sempre si rendono conto.

Spesso tra diversi gruppi e associazioni non si trova l’accordo per stabilire legami e confronti sinceri, spesso non si cercano delle date comuni, delle azioni comuni, o viceversa per far torto ad un altro si cercano proprio date comuni, non si allargano pensieri, parole, gesti e movimenti. Si resta sempre fermi allo stadio di un ‘fare fine a se stesso’, quanto per essere presenti, per cercare visibilità, e anche molti festival culturali di qualità alla fine si consumano in quei pochi giorni senza nessuna continuità e senza lasciare un segno nella realtà in cui si opera.

Siamo fermi all’idea di attrarre, di fare ascolto senza però badare all’ascolto primario fra i propri gruppi e fra i gruppi esterni, siamo immobilizzati dall’idea di essere appetibili inserendo in programma i nomi del momento, quelli del ‘fa figo, hashtag’ e che importa se fino a una settimana fa se ne parlava male, che importa se inserisco nel mio festival un nome grosso ma di lui non ne so un cazzo e lui non sa un cazzo dei luoghi in cui viene a parlare?

La ricerca del successo momentaneo ed effimero, la tendenza all’autocelebrazione, la proposta di temi e titoli scontati, banali, tristi, buttati lì per caso o forse studiati male seguendo un marketing insufficiente non porteranno mai da nessuna parte, non creeranno consapevolezza, non aiuteranno un lento processo di crescita e di rinnovamento. Siamo fermi, nonostante tante energie e passioni, allo stadio del ‘lavorare soli’, o alla stadio di chi fa a gara per avere più sponsor, più magliette colorate da vendere o più lobby politiche con cui ragionare, e così riproduciamo le conflittualità delle precedenti generazioni.

Perché in realtà, dietro a quello stadio, regna sovrana la titubanza, la paura di non farcela o più semplicemente la comodità. Il salto di qualità, che purtroppo avverto lontano, e che forse aiuterebbe tutti ad essere più più credibili e dunque forse più attrattivi sarebbe quello di uscire dalle gabbie, di aprirsi, di comunicare davvero, mettendosi totalmente in gioco e mettendo a disposizione il cuore.  Pensando anche a come comunicare e costruire poi nei mesi invernali, quando le presunte star non verranno, quando i piccoli finanziamenti non ci saranno e quando quelli che restiamo dovremo camminare da soli.

E invece di fare progetti incisivi e concreti si ci ferma alla cazzate. Agli interessi di partito o dei gruppi, alle ideologie che non esistono più o a quelle antiche e nuove ideologie ‘malate’ buone ancora solo a dividere. Non si ha la forza e la convinzione di contrastare le gerarchie, le arroganze, le presunzioni, le prediche, il perbenismo di maniera. Molti di noi restano delusi e a fine estate quando tirano le somme sentono che non era esattamente quello che ci si aspettava dall’estate e dalle tante iniziative che pure ci hanno visti impegnati o protagonisti o presenti. “Poteva andare meglio”, oppure “loro non li chiamo più”, e poi subentrano i sensi di colpa o le recriminazioni nei confronti degli altri.

Si parla di rete come uno slogan tra i più promossi ormai. Come se per fare questa rete fosse solo necessario attaccare su un manifesto un logo, o come se fosse necessario premere sui social ‘condividi’ evento per comprarsi la simpatia.   Molti sottovalutano una cosa di enorme rilevanza che crea una rete stabile e consapevole: i rapporti umani, gli incontri veri e profondi, l’importanza di stabilire legami con chi non è e non si sente di passaggio. Le pubbliche relazioni più sono vere più danno soddisfazione, più creano quelle sinergie in grado di costruire progetti, realizzare piccole utopie. Per questo non sopporto il termine ‘pubbliche relazioni’ addossato ad un lavoro. Finché non inseriamo il cuore nelle relazioni umane, queste saranno sempre effimere, si sgretoleranno in un baleno e i progetti non saranno più credibili.

La verità, forse, è che ci siamo stancati troppo presto, in alcuni casi in anticipo. E invece occorre tanta pazienza perché c’è tanto cammino da fare e io spero assieme, in tanti.

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

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