Ieri, 23 luglio, presso l’abbazia di Corazzo (Carlopoli) è stato presentato a cura del forum del Reventino e dell’associazione Rivientu, l’ultimo libro di Antonello Caporale, “Acqua da tutte le parti”. La cornice è quella delle grandi occasioni. Il pubblico è numeroso e attento, partecipante, il tutto sullo sfondo delle rovine di Corazzo, tra i ruderi dell’abbazia dove soggiornò, e ne fu abate, Gioacchino da Fiore. L’abbazia fu fondata dai monaci benedettini neri nell’XI secolo e ricostruita dai cistercensi nel 1157. Dopo una storia gloriosa, eventi sismici disastrosi, il terremoto del 27 marzo 1638 e quello del 1783, la condussero alla dismissione. Iniziò così la spoliazione dei suoi beni, che furono assorbiti dalle parrocchie della zona, fra cui ricordiamo l’altare maggiore che fu trasferito alla chiesa di San Giovanni Battista di Soveria Mannelli e una statua lignea della Madonna del Carmine presso la chiesa di Adami.
Dopo questo breve excursus storico torniamo al presente, in particolare al libro di Caporale. Da esso emerge un’Italia il cui sud è stato abbandonato a sé stesso (anche per proprie responsabilità), dove lo stato di diritto in molte aree è stato sospeso (vedi Castel Volturno); dove le grandi opere si concludono senza essere state terminate (è il caso della Salerno-Reggio Calabria che il presidente del Consiglio Renzi dichiarerà conclusa a dicembre 2016, nonostante ancora i lavori in progetto non siano stati terminati nel tratto calabrese); dove le ferrovie si vanno dismettendo o comunque non sono rimodernate o riparate nei tratti che hanno subito danni a causa delle frane (pensiamo alla ferrovia Calabro-Lucana che dovrebbe collegare Cosenza e Catanzaro) con grave danno soprattutto per le aree interne che vanno spopolandosi anche a causa dell’insussistenza dei trasporti pubblici, a netto vantaggio delle aree costiere e dei grandi centri urbani che sono invece sovrappopolati ma in grave crisi a causa del degrado civile e della scarsa coesione sociale che li affligge, dove i servizi base non si riescono ad assicurare, non a causa dell’assenza delle strutture, ma del troppo afflusso di gente (mentre nelle aree interne vanno chiudendo ospedali, poste, farmacie e pronto soccorsi). È un Sud dove la modernizzazione e l’industrializzazione forzata, guidata da una politica miope, quando non addirittura in mala fede (o in malaffare), ha comportato più danni che altro, mediante opere incompiute o devastatrici (come il porto di Gioia Tauro) o che fanno pagare a caro prezzo per la salute un malinteso benessere (si pensi all’Ilva di Taranto, ai nuovi pozzi petroliferi in Basilicata ed in prospettiva alle trivellazioni che interesseranno i tratti costieri adiacenti le nostre coste). E’ un quadro sconfortante, in cui tuttavia l’iniziativa virtuosa del singolo non può bastare. Servirebbe un intervento serio delle istituzioni politiche per rimettere in sesto le infrastrutture, o crearne di nuove dove necessario, per assicurare linee di trasporto efficienti, innanzitutto nelle aree interne (si pensi a quante persone così non abbandonerebbero i loro paesi). Per questo non basta avviare buone pratiche quotidiane, non basta l’associazionismo, o la piccola imprenditoria. Bisognerebbe entrare nelle istituzioni, ammodernarle, renderle funzionali allo sviluppo e al servizio della gente, e non di piccoli o grandi potentati. E’ ciò che manca all’Italia, il movimento dal basso c’è, però non basta. Ci vuole un ricambio delle élite e dei quadri dirigenti…
Ma ridiamo la parola a Caporale e a quanto ci ha detto ieri. Egli esordisce con una domanda, «a cosa può servire un libro come questo?». A metterci di fronte a due strade possibili, un’Italia che fiorisce ed una che sta sfiorendo. Nel suo libro sono infatti presenti buoni esempi, di paesi che ce la stanno facendo e altri invece che sono in declino, o che pagano gravemente la modernizzazione attuata, con modalità poco ecologiche. Però abbiamo anche un altro piano di lettura, quello del racconto di storie piccole ma rappresentative del nostro passato e magari del nostro futuro. E’ il caso del Libro Mastro di Eugenio Gigliotti e della sua vicenda criminale, di cui fu vittima passiva e senza alcuna colpa.
IL LIBRO MASTRO DI EUGENIO GIGLIOTTI
Eugenio Gigliotti è stato il primo commerciante di Decollatura, vendeva tutto, fuorché alimentari. La sua storia è interessante almeno per due ragioni: la prima riguarda la storia criminale della Calabria, la seconda l’evoluzione della società e dei consumi. Eugenio Gigliotti fu rapito il 23 gennaio del 1974 dalla ‘ndrangheta. Non molti lo sanno che negli anni settanta la mafia calabrese, operò molti rapimenti, e con i soldi che ne ricavò operò poi la sua successiva espansione nel campo del commercio delle armi, della droga e della prostituzione. La storia di Eugenio Gigliotti per fortuna andò a buon fine e fu liberato dopo appena due giorni. Ma oltre che per questo fatto di cronaca nera la sua vicenda ci interessa perché grazie alla sua attività e al suo libro mastro, dove segnava tutti i crediti che aveva nei confronti dei suoi acquirenti, ci permette di osservare l’evolversi dei consumi (e quindi delle condizioni economiche) della società decollaturese, e non solo. Si passa così da un periodo in cui erano richiesti soprattutto strumenti o oggetti legati all’agricoltura, ad un altro in cui prevaleva il cemento (negli anni settanta ci fu un grosso boom edilizio), in fine agli anni ottanta, quando le condizioni economiche migliorarono ulteriormente e non furono più richiesti pagamenti a credito.
CAPITOLO PALE EOLICHE
Antonello Caporale è sceso per la prima volta in Calabria per raccontare lo scempio delle pale eoliche, che trattò poi nel libro “Contro Vento”. Lo scrisse dopo essere stato sconvolto dalla visione dell’altura del Formicoso, posta tra Campania e Puglia disseminata di pale eoliche. Si chiese perché se il vento fosse di tutti i profitti andavano poi solo a soggetti privati? E la veduta e il paesaggio non sono un bene di tutti? La risposta alla prima domanda è semplice, gli amministratori locali interessati dal fenomeno sono spesso pigri e mediocri, semplicemente non sono stati in grado di contrattare. Non è un semplice problema di corruzione. Èil caso ad esempio di Ripabottoni in Molise, disseminato di pale eoliche, date per soli 250.000 euro di affitto (quando ne rendono almeno 12 milioni di euro all’anno), solo perché al sindaco di questo paese tale cifra sembrava già di per sé molto alta, non avendo avuto la capacità di informarsi e quindi di alzare di più la posta. Queste sono persone mediocri. I talenti sono coloro che innovano. Il sindaco mediocre non è che non affronta i problemi, semplicemente non vuole avere problemi. La verità è che le pale hanno affogato il Sud con un giro d’affari di miliardi, senza che la collettività ne abbia avuto niente. Se a questo ci aggiungiamo che il maggiore imprenditore eolico al sud, come emerso da numerose inchieste, è il boss mafioso Mattia Messina Denaro, il quadro è completo.
IL FARM PARK CULTURAL DI FAVARA E L’AGRICOLTURA BIOLOGICA DI VARESE LIGURE
Ma Caporale porta anche buoni esempi, se non di sindaci , almeno di cittadini. È il caso di Favara in Sicilia. Favara, come è definita dall’autore, non è né paese né città. L’ingresso nel centro abitato non è dei migliori, proprio nel pieno di una curva poco prima del paese infatti ci attende un cumolo di spazzatura. Gli abitanti dice un signore, che incontra al centro della piazza, «non si prendono il disturbo di buttarla nei cassonetti». Evidentemente preferiscono vedere una discarica a cielo aperto, aggiungiamo noi. Ma per fortuna Favara non è solo questo e l’abusivismo edilizio che l’ha devastata negli ultimi decenni. A Favara vive uno strano personaggio, si chiama Andrea Bartoli ed è il notaio del paese. Bartoli è il creatore della «Farm Cultural Park, realizzata rosicchiando stanze al centro storico abbandonato e acquistando spazi nelle altre case abitate. Lasciando lì i residenti e fornendo agli artisti di tutto il mondo […] una sosta creativa. […] Favara adesso è meta turistica, sono sorti alberghi e locande per tutte le tasche. Visitatori a frotte, piazza piena di gente nuova, porzione importante del centro storico riutilizzata»[1] e il tutto senza un centesimo speso da parte dell’erario pubblico. Ma il notaio illuminato perché l’ha fatto? Perché amante dell’arte voleva dare alle sue due figlie un ambiente confortevole nel quale crescere, senza dover abbandonare il paese natale. Si vede dunque che per sbloccare la situazione non ci vorrebbe nemmeno molto, se ci è riuscito un singolo cittadino seppur facoltoso, figuriamoci se un’amministrazione non potrebbe fare di meglio, puntando innanzitutto sulla cultura per far sviluppare il paese, non solo economicamente ma anche spiritualmente. Le due cose in realtà sono inseparabili, peccato che stranamente questo in Italia in pochi lo sappiano…
Varese Ligure è un paese montano nel nord della provincia di La Spezia. Come tutti i paesi interni oggi sarebbe in grave crisi economica e sociale se venti anni fa non avesse scelto la strada dell’innovazione e della coltura biologica. Così grazie ai finanziamenti europei che allora erano abbondanti si è iniziato con il recupero del centro storico, e poi dopo questo step si è passati all’agricoltura biologica e alla zootecnologia, che già all’epoca offriva importanti prospettive. Oggi si può dire che il paese è salvo. Il lavoro si trova, i giovani non solo non sono più costretti ad abbandonarlo, ma anzi ci sono pure dei rientri dalle città, dove le condizioni di vita sono più difficili sia per il costo delle case che per la crisi economica. Ma oltre ad agire sul fronte demografico e del lavoro, un altro aspetto positivo è quello della salvaguardia dell’ambiente. Coltivando e curando i terreni infatti si è reso il terreno più stabile, così che le numerose alluvioni e frane che si sono registrate nei paesi vicini in questi ultimi anni, non hanno interessato Varese Ligure. È questo un esempio virtuoso che dimostra come anche i paesi apparentemente più svantaggiati per ubicazione geografica se puntano sull’innovazione, senza dimenticare le proprie radici e il proprio genius loci, possono non solo svilupparsi, ma farlo in maniera sostenuta e costante, senza quei fenomeni propri della modernizzazione forzata che sono la degradazione dell’ambiente, del tessuto sociale e l’anomia.
FRANCESCO LESCE E ANGELO MAGGIO, IL NON FINITO CALABRESE
Francesco Lesce è un ricercatore di filosofia e Angelo Maggio un fotografo che da anni immortala e cataloga lo sfascio edilizio e gli scheletri di cemento sparsi lungo il territorio calabrese. Insieme a Lesce ha elaborato una teoria, la c.d. teoria dell’incompiuto calabrese. Secondo questa «il fabbricato non finito è un progetto che doveva realizzarsi e non si è realizzato, che è rimasto sospeso nel tempo, e che ormai fa parte integrante di un modo di vivere»[2]. Il fabbricato non finito insomma non rientra semplicemente nella sfera dell’apparire ma è entrato nello stesso essere del calabrese. Angelo Maggio ci racconta come tutto iniziò. Qualche anno fa fece un reportage fotografico sul Cristo di San Luca, in Aspromonte. Gli scattò delle foto. Questo Cristo ha sullo sfondo un bruttissimo fabbricato non finito, ma facendo visionare la foto agli abitanti del luogo, nessuno notò la costruzione o si lamentò di essa, anzi tutti dissero che la foto era bellissima. Da ciò, e dopo aver sottoposto altre foto di incompiuti ad altre persone ed in altri contesti, con Francesco Lesce desunsero che il non finito calabrese era ormai entrato nell’inconscio collettivo, come qualcosa di normale ed inevitabile. Aggiunge Maggio, «A me quello che interessa sono le abitazioni che i genitori hanno iniziato a costruire e che poi i figli decidono di non finire, ecco perché io parlo di monumenti alle aspettative deluse dei calabresi»[3]. «Dunque, dicono Angelo e Francesco, il non finito non è semplicemente l’espressione visiva di uno scempio urbano, di un degrado paesaggistico, ma un modo di vivere»[4]. Un modo di vivere a cui i calabresi si sono dovuti adeguare loro malgrado, traditi dalla politica, dalle norme che nel corso del tempo si sono fatte più restringenti e dall’economia che si è arrestata, tagliando così quegli introiti che avrebbero permesso di concludere le loro abitazioni…
Con la storia dell’incompiuto calabrese si conclude la giornata, dopo un acceso dibattito finale. E’ stata una discussione a tratti entusiasmante, a tratti divertente, e a volte persino tesa. Nel complesso mi sento arricchito di avervi partecipato, ne ho tratto diversi spunti di riflessione circa lo stato attuale delle cose e le possibile strade da percorrere per cercare di sbloccarle. Spero che da questo mio breve resoconto anche altre persone possano avvicinarsi non solo al libro “Acqua da tutte le parti”, ma anche e soprattutto possano maturare nuove idee e prospettive per migliorare la loro vita e quella della collettività. Naturalmente è una pretesa troppo grande per queste poche righe, ma se avrò già potuto contribuire con un granello in un mare di sale non potrò che ritenermi soddisfatto.
[1] A. Caporale, Acqua da tutte le parti, p. 273
[2] Op. cit. , p. 255
[3] Op. cit. , p. 256
[4] Op. cit. , p. 257
Il poeta non è altro che un canale, un medium per l'infinito, che si annulla per fare posto a forze che gli sono immensamente superiori e, per certi versi, persino estranee. D'altra parte chi sono io di fronte al tutto, ma al contempo, cosa sarebbe il tutto senza di me?