Ho pagato cara la mia diversità e il “gioco” non vale la candela. Per questo motivo, ho deciso di aprirmi e narrare la mia esperienza diretta di bullismo.
Il bullismo è devastazione. E’ un’orrida piaga senza cura alcuna. E’ un ciclone di conseguenze, un macigno fatto d’insicurezze ostinate e brutalmente ossessive. Il bullismo induce la vittima a fare i conti con i meandri più oscuri della propria psiche. Lacera la bellezza che dovrebbe contraddistinguere il vivere, il vivere che diventa piuttosto una durissima lotta per la sopravvivenza. Il bullismo infatti mina il quotidiano ed intacca ciò che a nessuno dovrebbe essere precluso: la normalità, la naturalezza del fare cose infinitamente normali, insite ed innate nell’essere umano.
Sostanzialmente, il bullismo è la voce di chi, ad esempio, ha da ridire se ridi o sorridi.
“No, non puoi sorridere! Non puoi ridere! Non puoi farlo! Quel tuo apparecchio ai denti, del resto, è insopportabile per tutti!”
Sostanzialmente, il bullismo è la voce, o meglio, è un eco. E’ l’eco di chi ti dice di non parlare perché hai la S, la R, ogni lettera moscia, persino la più dura.
“No, non puoi parlare! Non puoi! E non puoi nemmeno ridere e sorridere! Ricordalo!”
E se non puoi né ridere, né parlare, non ti resta che star ferma, inerme, a fare da mero burattino, ma neanche quello ti è dovuto. Sei una bambola brutta, la più brutta, la più brutta al punto tale da doverlo fare presente sempre, ogni giorno, a ogni ora della mattina, in quattro mura che non rappresentano più un’aula, ma una prigione. Ergo:
“Sei la più brutta! Non meriti di sorridere, di ridere! Non meriti dialogo!”
Quello che è peggio è il seguito. Il bullismo infatti continua a casa. Si sposta nello specchio, in quello specchio in cui riecheggia insistentemente ogni frase, in quello specchio che non muta, che resta il medesimo anche adesso che sei adulta, in quello specchio che continua riflettere l’immagine di allora.
Hai rinnegato un pezzo della tua vita, hai gettato ogni foto di quegli anni, ma non è servito a niente, perché quel maledetto, quel lurido e sadico specchio, ti vieta comunque di dimenticare, come in un’insolita favola, quella di una Biancaneve al rovescio, quella di una Biancaneve che, al contrario delle aspettative, è la più insignificante del reame.
Ad ogni modo, non si tratta di un discorso puramente estetico, è bene spiegarlo, perché, se la scuola diviene la prigione della tua persona, il corpo diviene la prigione della tua anima, della tua interiorità che vorrebbe urlare, ma vacilla in un silente ed impercettibile tremito. Non riesci a farti conoscere. Non ti imponi. Prendi le sembianze di un vecchio oggetto dimenticato, con la speranza di capitare distrattamente nelle mani di qualcuno che ti raccolga, piuttosto che gettarti con repulsione. Fondamentalmente le relazioni interpersonali divengono il riflesso degli accadimenti, ti sembrano la copia dell’ora di educazione fisica: è il momento di fare le squadre e, nel corso delle selezioni dei due “capitani”, rimani sempre e soltanto tu, tra le urla e il disappunto della malcapitata squadra che dovrà fare i conti con la tua goffa presenza. In sintesi, non ti rapporti con gli altri in maniera concreta, ma ti rapporti in virtù di una casualità. Non rappresenti una parte della vita dell’altro, ma un fastidioso accidente. Il tuo specchio, allora, trasuda sdegno, come anche lo sguardo di chi ti ama e di chi ti è amico, poiché, abituata da sempre al rifiuto, non sai riconoscere chi, al contrario, ti accoglie.
Alla luce di ciò, mi domando se i carnefici, se chi fa bullismo insomma, sia consapevole delle feriti inestinguibili che va ad infliggere. Voglio pensare che non lo sia (anche se ho delle riserve riguardo a ciò), e con la mia testimonianza voglio lanciare un vero e proprio appello, perché la soluzione non è quello di fermare questo fenomeno, ma è quella che non abbia mai inizio, perché, se inizia, è troppo tardi. E lo dice una vincente sconfitta, un ossimoro voluto, una definizione che ho deciso di darmi, perché se, da una parte, ho imparato a migliorarmi, ad avere cura della mia fisicità, di me stessa, a non vederla e a non vedermi più come spacciata, ma munita di potenzialità che aspettavano soltanto di essere valorizzate; se da una parte ho imparato a non farmi mettere i piedi in testa, a dire la mia, dall’altro lato continuo a maturare una perenne insoddisfazione, un ossessivo desiderio di essere migliore che è tutto meno che salutare, e me lo porto dietro da quegli anni difficili o forse sarebbe meglio dire assurdi.
E se quegli anni sono stati assurdi, altrettanto assurdo è ritrovarmi nel mio presente con uno stato mentale che non ho avuto modo di scegliere. E’ tutto assurdo, profondamente ingiusto, e nel dire ciò, voglio far capire che il bullismo non è quello sputtanato, quello trito e ritrito, quello quasi “banale”, quello del cazzotto in testa, ma è quello delle parole, quello che ti prende a pugni l’anima, e nessuno più potrà rendertela indietro vergine d’ogni umiliazione e di ogni conseguenza a essa correlata che ho cercato di denunciare. (E quanto ancora ci sarebbe da dire!)
Ma ad ogni modo, questo è quanto! Concludo, con un ulteriore messaggio: bulli del mondo, alt, fermi tutti, perché, se l’apparecchio ai denti per voi è insopportabile a vedersi, figuriamoci per chi deve sopportarne ogni giorno la pressa; perché, se è difficile ascoltare, figuriamoci quanto sia complicato per l’altro farsi capire; perché, se non sopportate guardare una maschera, secondo voi, “sgradevole”, figuriamoci indossarla, averla cucita sui propri connotati e non poterla strappare via; perché se è difficile perdere ad una partita di pallavolo, figuriamoci perdere se stessi.
R I F L E T T E T E !
Nata a Lamezia Terme, il 27 Marzo del 1989, è una studentessa di “Scienze della comunicazione” presso l’ "Università della Calabria”. Nel 2011, ha pubblicato, con la "Damster Edizioni", un racconto intitolato "Brava Giulia", per l’ antologia "Voglio un racconto spericolato". Nel 2015, ha pubblicato sette poesie per la collana dal titolo "Riflessi" delle casa editrice "Pagine"; e nel Settembre dello stesso anno, ha pubblicato la sua prima raccolta poetica del titolo "Cespugli di rovi" con Eretica Edizioni. Nel Maggio del 2017 ha pubblicato invece il suo secondo libro di poesie "Annerita di condensa", con la medesima casa editrice.