“Sono rinchiusa tra quattro mura. Lo spazio è strenuo e stretto, angusto ed angustiante. Ho pochi metri a mia disposizione.
Fino a poco tempo fa credevo fosse un bene. Credevo che una tale logistica, che una tale morsa muraria, potesse ovviare al freddo che sentivo e potesse ravvedersi di creare un torpore a me congeniale e anzitutto vitale. Così non è stato. Il freddo ha avuto la meglio, è filtrato attraverso i mattoni, attraverso le mie ossa, il mio cuore, e mutando la mia anima in ghiaccio. La mia anima è fragile. Un semplice respiro potrebbe distruggerla in milioni di schegge e l’anima, così ferita, potrebbe di riflesso ferire il mio corpo, potrebbe di riflesso recidere quelle mura costruite con sudore e fatica e che mi sono costate secondi, minuti, ore, mesi, forse anni, non lo so più, di reiterato tormento e salvifica testardaggine. È paradossale o forse ridicolo. Ho pagato col sudore l’acquisto di questo gelo ed ora darei tutto il freddo che avverto per un po’ di calore. Dovrei uscire fuori di qui per esserne degna o per guadagnarmelo, ma non ho più voglia di snaturarmi, né di lottare, non ho più voglia di essere una pedina degli eventi. Voglio che il tempo faccio il suo corso, sì, ma preferisco lo faccia al di fuori di me, fuori di queste mura. Rinuncio ad ogni tipo di calore umano e mi accontento di uno artificiale e finto. Riempio la mia vasca di acqua calda e calo la mia persona al suo interno. Sto qui a crogiolare squallidamente nel nulla. In sostanza ubriaco le mie emozioni e dono alla mia anima un limbo, le dono quel caldo che avvolge la mia carne e che di conseguenza le permette il conseguimento di un equilibrio termico. È così che posso uniformare il mio “di dentro” e il mio “di fuori”, è così che posso ricondurre i miei pensieri ai miei atti ed è così che posso perseguire il mio scopo che consiste in una ricercata immobilità.
Non tocco più nulla se non i bordi della mia vasca.
Non annuso più nulla se non quest’acqua neutra e priva di ogni fuorviante profumo.
Non vedo più nulla se non il nero della condensa che il calore ha generato sulle murature.
Non assaporo più nulla se non il mio labbro inferiore che all’occorrenza mordo repentinamente.
Eppure non posso vietarmi di udire e ancor di più di sentire. Delle voci oltre le mura mi perseguitano, in unione alla mia coscienza che urla forte, sposando suddette voci. Ciò accade al di fuori di ogni mio controllo e al di fuori di ogni mia intenzione. Questo vortice di parole fa male, troppo male. Meglio convertirlo in poesia!”
Per acquistare il libro, cliccare qui: Eretica Edizioni – Annerita di condensa oppure contattare questa pagina facebook: Simona Barba Castagnaro Scrittrice
Foto di: Pasquale Murone
Nata a Lamezia Terme, il 27 Marzo del 1989, è una studentessa di “Scienze della comunicazione” presso l’ "Università della Calabria”. Nel 2011, ha pubblicato, con la "Damster Edizioni", un racconto intitolato "Brava Giulia", per l’ antologia "Voglio un racconto spericolato". Nel 2015, ha pubblicato sette poesie per la collana dal titolo "Riflessi" delle casa editrice "Pagine"; e nel Settembre dello stesso anno, ha pubblicato la sua prima raccolta poetica del titolo "Cespugli di rovi" con Eretica Edizioni. Nel Maggio del 2017 ha pubblicato invece il suo secondo libro di poesie "Annerita di condensa", con la medesima casa editrice.