“L’infinita grandezza dell’universo, l’incommensurabile vastità della galassia, la trascurabile minutezza degli uomini”. Lunedì 2 gennaio Domenico Dara presenta il suo nuovo libro a Lamezia Terme

Appunti di meccanica celeste è uscito il 6 ottobre 2016 per i tipi della casa editrice Nutrimenti di Roma. Si tratta del secondo romanzo di Domenico Dara, autore di origine calabrese che ora vive fra Como e Milano, autentica rivelazione letteraria degli ultimi anni grazie al suo romanzo d’esordio Breve trattato sulle coincidenze (Nutrimenti 2014), vincitore del Premio Corrado Alvaro 2015 sezione Opera Prima, del Premio Città di Como sezione Esordienti, del Premio Palmi 2014 e finalista del Premio Italo Calvino 2013.

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Anche Appunti di meccanica celeste ha già riscosso un notevole successo di pubblico: nel giro di due settimane è andata esaurita la prima edizione e il romanzo è stato eletto “libro del mese” (novembre 2016) dai lettori/ascoltatori della trasmissione Fahrenheit in onda su Radio Tre.

La storia è ambientata a Girifalco, paese natale dell’Autore in provincia di Catanzaro, un luogo reale e conosciuto, puntualmente descritto nella sua topografia materiale e umana, ma che è al tempo stesso un microcosmo in cui commensurabile e incommensurabile rendono manifesta, per alcuni giorni, la loro matrice comune.

 “…Sette come i pianeti dell’astronomia antica, sette come gli arcangeli del libro di Enoch”. Sette sono i personaggi principali della storia, introdotti da altrettanti capitoli che ne tracciano storia e caratteristiche fino a un fatidico 10 agosto, ultimo giorno prima di un evento tanto casuale quanto inaspettato, l’arrivo del circo Engelmann guidato da Cassiel, che precede di poco un avvenimento al contrario imprescindibile nella sua atavicità, fulcro generatore del tempo di Girifalco: la festa patronale di Santu Ruaccu. Il pazzo (Lulù Segareddu), la secca (Concetta Licatedda), lo stoico (Archidemo Crisippu), la mala (Mariarosa Praganà), l’epicureo (Venanzio Micchiaduru), la venturata (Rorò Partitaru), il figlio (Angeliaddu u Biondu) troveranno nella carovana foriera di incanti, arrivata chissà da dove, altrettanti angeli custodi, entità in grado di aprir loro insospettate prospettive: Luvia per il povero pazzo dotato di un talento eccezionale, l’illusionista Tzadkiel per Concetta, la cui unica cura potrebbe essere proprio quella di “guardare le cose di ogni giorno da un punto di vista diverso”, l’equilibrista Jibril per Archidemo, perennemente in bilico fra imperturbabilità e dolore, il lanciatore di coltelli Nakir e la sua aiutante Masia per Mariarosa e Rorò, per ricordare che da bersaglio si può diventare tiratore scelto, la contorsionista Mikaela per Venanzio, che della sua prestanza fisica ha fatto una ragione di vita, infine il trapezista Batral per Angeliaddu, sempre sospeso sui pregiudizi di chi ne teme la diversità. Per un breve momento, uno spazio di giorni che vale vite intere, gli artisti del circo Engelmann “biondi e puliti come usciti da una pala d’altare”, danno una brusca accelerata al corso degli eventi, colmando le mancanze che segnano l’esistenza dei protagonisti, finanche l’assurdo rappresentato dall’anomala assenza del dolore.

Sullo zodiaco, i pianeti e le coincidenze astrali. Domenico Dara si diverte assegnando ai sette personaggi di Girifalco lo stesso giorno di nascita, come a dire che le congiunzioni astrali possono pesare sul destino in maniera diametralmente opposta e spesso complementare: sono nati il 24 giugno sia Concetta, madre mancata, che Angelo, venuto al mondo senza mai conoscere il padre; il 2 febbraio è la data di nascita di Archidemo lo stoico e di Venanzio l’epicureo; il 18 ottobre sono venute alla luce la sventurata Mariarosa e la fortunata Rorò, entrambe sotto il segno della Bilancia, i cui piatti dal difficile equilibrio rappresentano la vita nella sua imponderabilità. Anomalo, unico, scompagnato, solo come lo sono i puri e i folli, è Lulù u pàcciu, nato il 23 aprile quando il Sole sorge nella costellazione del Toro, unico segno di Terra a ricordarci che forse a questo mondo appartiene solo la follia o il pericoloso cammino che ci fa avanzare al di sopra di essa.

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Corpi estranei per orbite divergenti. Al di fuori dei sette personaggi e dei loro corrispettivi del circo Engelmann ruotano, quasi come elementi estranei, Caracantulu e Grafathas, forieri di una malvagità non innata ma data dagli accidenti della vita, neri nelle vesti e nell’animo, elementi di casualità nella geometria dell’esistenza che proprio dalla casualità hanno ricevuto un’ingrata lezione.

Nomen-omen e lessici celesti. Nessun nome proprio è casuale in Appunti di meccanica celeste, per affinità o opposizione alla natura dei personaggi: a Luciano manca la luce della ragione, Concetta è la figlia concepita dopo molto desiderio, che non riesce però a concepire, Archidemo rintraccia negli stoici le sue origini, Mariarosa è soprannominata Malarosa dalla stessa madre per la sua malvagità, eppure come la rosa di Gericho sa attendere per anni la sua rinascita, Venanzio è il “cacciatore” di donne per eccellenza, Rosaria (Rorò) è consacrata fin dal nome alla Madonna, che la protegge in ogni circostanza, Angeliaddu reca nel nome e sul corpo lo stesso destino di “uomini che una volta erano angeli e potevano volare più in alto degli uccelli, più in alto delle nuvole”.

Allo stesso modo, gli artisti del circo Engelmann (letteralmente, degli “uomini angeli”) hanno antichi nomi dell’angelologia ebraico-cristiana e islamica: Cassiel principe dei Troni, Lauviah, Zadikiel, Jibril, Nakir, Mhasiah, Michael, Batraal, lo stesso Grafathas, noto dal vangelo apocrifo di Bartolomeo.

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Essi arrivano inaspettatamente in un giorno di agosto, ma è come se fossero stati sempre stati presenti nelle vite dei protagonisti, sotto forma di preghiera, ciondolo, boule de neige, come le “grandi ali” che consentono alle megaptere di compiere la loro millenaria migrazione lungo impercettibili orbite oceaniche.

Per una dinamica dei contrari. Questo secondo libro di Dara è “meraviglioso” nel senso pieno del termine, intriso cioè di quella meraviglia che tocca il quotidiano e lo devia verso orbite impensate. È al tempo stesso un libro “geometrico”, vale a dire intessuto di simmetrie interne e correlazioni fra eventi e personaggi a cui corrispondono i loro esatti contrari. Ed è in questo miracoloso equilibrio che sta senza dubbio il suo incanto, la forza che costringe il lettore a indagarlo pagina per pagina. La contrapposizione dei doppi e il loro rovesciamento sono delle costanti con cui tanto il lettore quanto i personaggi, spesso del tutto inconsapevolmente o in maniera inaspettata, devono confrontarsi. E così Venanzio, dongiovanni impenitente, si scopre stoico quando immagina che per un solo bacio di una sola donna potrebbe rinunciare per sempre ai piaceri della carne che religiosamente coltiva, mentre Archidemo Crisippu, che dell’atarassia ha fatto la propria stella polare, precipita nell’umana disperazione ogni volta che ripensa al fratello sparito in giovane età e mai più ritrovato.

La trama dei contrari si dipana in tutta la storia: miracoli che sembrano e non sono, redenzioni impossibili che avvengono in un breve battito di vita dell’Universo, sovrapposizioni di orbite umane divergenti. In questa prospettiva è la finzione che svela il reale: il circo nel suo magico ordito di leggi sovvertite, che illumina angoli di vita non frequentati e parla di altre dimensioni oltre lo spazio-tempo.

Della lingua. All’intreccio sapientemente architettato, che tocca ai lettori scoprire nel dettaglio, corrisponde uno stile narrativo lineare ma al tempo stesso poliedrico, reso efficace tanto dall’uso della lingua dialettale, innesto capace di rendere l’asprezza di alcuni sentimenti e la pienezza di certe immagini, quanto dall’utilizzo di un linguaggio scientifico, mai asettico però, perché originalmente votato a descrivere l’umano sentire.

Una conclusione che forse non lo è. Appunti di meccanica celeste è in definitiva un libro in cui trovano posto la leggerezza e la malinconia, come quella musica che “può essere tristezza e gioia” al tempo stesso, in cui gli opposti si compongono in un ordine superiore che non si vede eppure c’è, come “Plutone e Nettuno che dovrebbero scontrarsi non si urtano mai, dimostrando che anche nell’indefettibile meccanica celeste c’è posto per la pietà”. Infinitamente grande e infinitamente piccolo si specchiano, si compenetrano, si contengono nel perimetro di vite che partecipano alla caotica perfezione dell’Universo.

 

Saggi di scrittura. Pagine scelte da Appunti di meccanica celeste

La luna era ritornata ad essere padrona assoluta della volta celeste. Ed era una luna bellissima. Chissà perché gli uomini hanno sempre ammirato la luna piena, perché poeti e scrittori hanno decantato il globo luminoso e perfetto, mentre quella sera, nel cielo, c’era un filo sottilissimo di luna che più bello non si poteva, rarefatto, manchevole, l’ultimo frammento prima di essere inghiottito da una notte eterna. Una porzione finissima di luna che era un congedo, come la mano che si agita dal finestrino del treno o la porta che si chiude sul volto amato, distante dalla perfezione del cerchio, incompleta e finita come gli uomini. Una luna che vorrebbe scappare negli spazi infiniti e la gravitazione terrestre costringe a orbitarle intorno come se anche i pianeti non fossero fatti per stare da soli, e lei allora si vendica agitando i mari, avvicinando e allontanando le acque, abbassando e alzando gli oceani. E chissà se anche gli uomini funzionano come le maree, pensava Archidemu, chissà se anche i loro cuori vengono deformati dalla gravitazione lunare, se il sangue si alza e si abbassa come gli oceani, se il respiro si increspa come un’onda. Chissà se anche per gli uomini, per me Archidemu Crisippu, e per mio fratello Sciachineddu da una marea scomposto, vale la legge della gravitazione universale: due corpi qualsiasi dotati di massa si attraggono reciprocamente con una forza tanto maggiore quanto più grande è il valore delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa. Fratello mio, chissà se questa notte è la notte giusta, se finalmente questo congedo di luna ha deformato le strade e fatto coincidere le nostre traiettorie, se la forza dei nostri corpi dotati di massa ha vanificato la distanza e il suo maledetto quadrato inversamente proporzionale. 

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“Certe volte penso che tu stai meglio di tutti noi. Questo mondo fa schifo, su questa terra maledetta non c’è niente di giusto, che uno fa male e riceve bene e uno invece come me che non aveva mai fatto niente a nessuno, si ritrova da un giorno all’altro con la vita rovinata senza sapere perché. Ma non c’è un perché, che se ci fosse si potrebbe ragionarci sopra, ma non c’è una ragione in questa terra maledetta, che tutto avviene così, per caso, per Provvidenza, e se ti va di culo che sei fortunato allora va bene, il mondo è bello e giusto, ma se per caso non sei tra quelli che non sono fortunati, che la Provvidenza s’è scordata, allora su cazzi tùa, che sei fottuto per sempre, per sempre, che non hai una seconda possibilità, e sai che gioia è svegliarsi ogni mattina sapendo che tu pascoli nel gregge dei dimenticati, che a te Provvidenza non ti cacò manco di striscio, che così, ti è andata male, forse nella prossima vita sarai più fortunato, ma per mò puoi creparti il fegato quanto vuoi che così sei e così resti. Ma che cazzo sto a parlare con te di queste cose che non capisci. Tu sei scemu, Lulù, sei ni nzejimàtu, e certe cose non le puoi capire, tu ti alzi, bevi, ti fai na pisciata e torni a dormire, e per te va tutto bene. Puru tu Lulù, pure tu sei più fortunato di me. Pure dietro a te mi ha messo questa maledetta Provvidenza, e santu Ruaccu è venuto a dirmelo di persona, sai? Questa notte, proprio il giorno in cui ero andato a trovarlo a casa sua, proprio stanotte è venuto da me a divertirsi e prendermi per il culo, a sfottermi, a ricordarmi che io sono una pecora nera, a sbeffeggiarmi che io a lui gli sono sempre stato sui cugghjùni! Tu e tutti i tuoi santi maledetti!”.

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Tanti anni prima, quando era famoso, nel suo circo c’era Sylarikov, l’uomo proiettile. Una sera che aveva bevuto, Grafathas gli chiese se non avesse paura, lui così piccolo di essere sparato oltre la rete di protezione: il nano si fece serio, si avvicinò all’orecchio e gli sussurrò che sì, aveva paura, ma che aveva trovato un pensiero per distrarsi: ogni movimento è la successione di piccole soste, gli avevano spiegato, la traiettoria è l’insieme dei punti fermi attraverso cui passa un punto materiale durante il suo moto, e lui durante il volo pensava in ogni istante ora sono fermo, ora sono fermo, ora sono fermo. Anche la vita funziona così, Grafathas, ti sembra di muoverti, ma non fai che accumulare con ordine giornate immobili, una dietro l’altra, e continui a ripeterti io vivo, io vivo, io vivo, per meglio predisporti all’urto finale.

 

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Domenico Dara presenterà il suo libro lunedì 2 gennaio alle ore 17 nella sala “Giuseppe Perri” della Biblioteca Comunale di Lamezia Terme.

Archeologa. Bibliofila. Abibliofoba. Lettrice vorace, scrive fin da quando è in grado di farlo, ma declina puntualmente la responsabilità di spiegare i contenuti, con l'elegante pretesto che "la penna ne sa di più di chi scrive".

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