Il sole albeggia da poco sullo Jonio, risplende adesso il monumento a Nosside posto lungo la costa e riecheggiano nella mente i suoi versi:
“O straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti
per cogliere il fiore delle grazie di Saffo,
dì che io fui amica delle Muse, che nacqui a Locri
e sai che il mio nome è Nosside. Và”.
Un tempo Platone parlava di Locri come “città d’Italia ordinata a leggi bellissime, dove per copia di sostanze e gentilezza di sangue non istà dopo a niuno“. Scorrendo i paesi verso meridione ricerchiamo tracce di questa memoria lontana. Noto è il triste destino degli antichi, rivoltisi alle montagne per celarsi dal mondo. Lasciamo la costa dirigendoci verso Samo, i cui fondatori diedero alla città il nome della loro isola di origine. Risaliamo verso la montagna, dove prenderà avvio il cammino.
Il percorso avanza in direzione del Monte Perre, inerpicandosi su un costone roccioso delimitato da terribili strapiombi cinto da due torrenti: a Sud il Ferraina, a Nord il Butramo. Torna subito alla mente l’incipit dell’opera Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro: “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare […]. I torrenti hanno una voce assordante.” Giunge da lontano il suono pauroso dell’acqua scrosciante gonfiata dalle piogge, interminabile. Dopo una serie di passaggi esposti ed incerti si staglia sul cammino l’imponente parete di Puntone Galera, temibile e maestosa.
Aggiriamo la vetta ed assistiamo all’incommensurabile bellezza di ciò che è naturale e che sfugge a qualsiasi controllo dell’uomo. Tempo di imboccare una curva e giunti al lato opposto delle vette si solleva un fortissimo vento seguito dall’arrivo minaccioso di nubi scure. Siamo adesso sul versante della fiumara del Butramo, chiamata anche Valle Infernale.
Non servono parole per esaltare la bellezza dei nostri luoghi: essa è evidente e ogni parola rischia di deturparla. Mi chiedo, attraversando queste contrade, se anche il nostro, come quello di chi ci ha preceduto nei secoli, è un destino segnato. Cerchiamo segni di una cultura lontana travolta e dimenticata, consapevoli della sordità verso la bellezza, dell’incuria verso ciò che è naturale ed antico, dell’idea imperante di un benessere astratto ed in vitro, del tutto avulso dalla realtà concreta, fatta di beni materiali e sostituibili che non fa altro che distruggere ciò che di bello esiste da secoli. Dinanzi a questi pensieri la presa di coscienza: non siamo che il punto più estremo e lontano della penisola e, forse, del mondo. Un luogo dimenticato come molti altri. La voce è troppo debole per poter sovrastare il caos circostante. Che tutto questo sia inutile? Che anche noi, come chi ci ha preceduto, ci approssimiamo a sparire e a diventare un ricordo appannaggio di pochi, fine a se stesso?
Tornano alla mente, però, le parole di Nosside “O straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti per cogliere il fiore delle grazie di Saffo (ovvero per conosce la poesia di Saffo), dì che io fui amica delle Muse (dici anche lì che pure io componevo poesie), che nacqui a Locri e sai che il mio nome è Nosside. Và”. Quale il senso di un simile appello? Quello di tramandare, comunicare, conoscere. L’artista si auspica che il viaggiatore ricordi i propri componimenti. Non solo. Che porti in un centro ben sviluppato (Mitilene) la notizia che anche in una colonia lontana e meno nota rispetto alle grandi città greche ci sia civiltà e sviluppo.
Al pari di Nosside ci si può fare portatori del bello e del senso stesso che comporta essere tra gli ultimi. Quel senso di riscatto, di miglioramento, di mostrare ciò di cui si è capaci. Può essere il racconto di un luogo naturale, di una vicenda storica o di attualità, di una storia di coraggio contro i soprusi: ci sono molti appigli di speranza in Calabria, nessuno verrà qui a conoscerla da fuori senza che prima una voce si sollevi da questi luoghi, siamo noi a dover essere testimoni. L’identità culturale è la principale garanzia di un popolo contro gli stravolgimenti delle epoche. La nostra è un’identità composita, fatta di incontri tra genti. Il che è una fortuna, a dispetto della maggiore complessità: conoscerla implica l’incontro col diverso, il ragionare, l’arrivare ad una soluzione di compromesso.
Questi pensieri oscurano l’animo durante la via e, senza accorgersene, è già tempo di ripartire. La strada è ancora lunga. Il ritorno è buio, il sole sta calando e si allungano scure ombre sulle impervie contrade aspromontane. In alto gracchiano i corvi, il vento adesso è sferzante e gelido, una pioggia fredda inizia a cadere dal cielo. Chiuso negli abiti pesanti rivolgo lo sguardo verso il mare. Sotto le nubi si intravede un lembo di mare sul quale si specchia il sole. Il viaggio per oggi è finito, mi lascio alle spalle la montagna, torno a casa. Ripenso ancora a molte cose, inquieto: guardo gli scarponi appena slacciati. Sono pronto per ripartire.
Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?