Gli antichi romani chiamavano il Gran Sasso d’Italia Fiscellus Mons, ovvero Monte Ombellico, in omaggio alla posizione centrale che assume nella penisola Italiana. Cuore e re degli Appennini, è composto da diverse vette culminanti nel Corno Grande (2.920 m.).
E’ mattina quando ci muoviamo in direzione di Campo Imperatore, luogo di partenza dell’avvicinamento alla vetta. Da Assergi muove la via che dalla conca dell’Aquila risale sulle pendici della montagna. Il percorso, già prima di arrivare a destinazione, mostra l’incomparabile bellezza dei luoghi. La strada procede sinuosa solcando docili valli e pianori dipinti dalla luce del mattino. La calma è padrona di questo posto e, circondati da visioni amene, ritardare l’ascesa alla vetta è un piacere potendo ammirare ed ascoltare tanta meraviglia.
Eccoci, dunque, a Campo Imperatore, affascinante e ammaliante. Oggi solitario e parte di un’area protetta, in passato ha costituito per molti secoli una delle principali risorse per l’allevamento e la pastorizia dell’intero Abruzzo. Francesco De Marchi, primo scalatore “ufficiale” del Gran Sasso, riporta nel 1573 che «questa piana tra altissimi monti fa un bellissimo vedere. Quando i pastori vi sono con gli animali a pascolare, par esser uno esercito grossissimo a vedere tante capanne e tante tende, massime la sera quando tutte hanno acceso i fuochi».
Giungiamo così sulla sommità dell’altopiano, presso uno spiazzo adibito a parcheggio e punto di partenza dei principali sentieri della zona. Un grande struttura rossa domina la spianata: è l’Albergo di Campo Imperatore. Qui, a seguito dell’Armistizio di Cassibile, fu imprigionato Mussolini fino alla sua liberazione da parte di alcuni paracadutisti tedeschi.
Il percorso a piedi immette su un sentiero sul fianco del crinale di una sporgenza la quale, una volta aggirata, consente di visualizzare la meta del percorso. Ecco, davanti a noi, il Corno Grande, cima degli Appennini. Il paesaggio è sgombro da vegetazione e da alberi, manifestando la natura rocciosa della zona.
Proseguendo sull’evidente sentiero si giunge ad un primo bivio. Andando dritti si imbocca la direttissima, una via irta e scoscesa che si arrampica sulla parete meridionale del Corno Grande. Sulla sinistra, invece, la strada aggira la parete meridionale arrampicandosi sulle rocce. Scegliamo quest’ultima.
Superata così la parete meridionale ci ritroviamo sul fianco sinistro del Corno Grande, ancora distanti dalla vetta, comunque sempre visibile. Attorno a noi maestose cime emergono da terribili canaloni e strapiombi. Nonostante il periodo estivo un vento freddo comincia a colpire il fianco della montagna che tentiamo di risalire.
Ad un certo punto il sentiero sparisce, lasciando il posto ad una parete, ultimo tratto del percorso da superare arrampicandosi. Arrivati sin qui compiamo gli ultimi sforzi pensando alla bellezza della vetta. La voglia e il desiderio di vederla non fanno sentire la stanchezza accumulata.
Ecco, dunque, la cima.
Se la montagna fosse soltanto cammino questo racconto finirebbe qui, dopo un’eventuale esaltazione del valore della fatica fine a se stessa e dell’invincibilità dell’uomo che può superare ogni limite. Mi piace pensare, invece, che la montagna, come un paese, abbia una propria storia e che soltanto conoscendo o mostrando interesse per le sue vicende si possa entrare in connessione con un luogo e non essere semplici escursionisti. Dalla vetta la compagna di questo cammino mi mostra la conca dell’Aquila. Parliamo, così, del terremoto del 2009.
Una comunità di persone si basa sulla condivisione. Si avverte, in altre parole, un senso di unione che lega gli abitanti di questa parte meravigliosa del nostro paese. Il terremoto, pur se materialmente non tutti, ha colpito chiunque: “conosco degli amici dell’Aquila, hanno dovuto lasciare la propria città”. “Ricordi Rigopiano? Lì sono morti dei nostri conoscenti”.
Mi guardo intorno e penso che sono proprio i luoghi ad unirci. Vivere in determinato luogo porta a sedimentare esperienze ed aspettative in quel posto. Quando, lontani dai nostri paesi di origine, incontriamo qualcuno delle nostre zone, è come se già ci conoscessimo. Ci viene naturale, quindi, capire che abitare in un certo posto assicura, rispetto ad altre persone a noi vicine, una base conoscitiva ed esperienziale in comune. Ogni luogo ha una storia e questa storia prosegue grazie ed unicamente a chi vive in certi luoghi. Non si tratta, invero, di quella storia fatta di date ed avvenimenti importanti. E’ storia anche il racconto di un familiare, di un conoscente, è storia anche il racconto di tutte le persone sconosciute ai più. Questa è la vera dignità dei luoghi: rendere importante, per chi sa, per chi conosce quel posto, cose che per altri non avrebbero valore.
Ma il vero senso dei luoghi è quello di unire persone che vivono distanti e provare interesse per ciò che non conosciamo. Amando il proprio paese si riconosce in chi ama un paese diverso un proprio simile, poichè simile, in realtà, a dispetto degli infiniti luoghi di questo mondo, è quello che ci lega ai nostri posti: l’amore per qualcosa cui ci apparteniamo.
Non è difficile, alla fine di questo racconto, vedere in chi mi accompagna il mio stesso paese e i luoghi che amo. Mentre ascolto la storia di vie e di persone è come se ascoltassi ciò che già so. Mentre mi vengono mostrati luoghi che non ho mai visto è come se vedessi quello che ho già visto per anni. In fin dei conti non siamo che parte dello stesso percorso, che continua e continua.
Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?