Charles Bukowski è uno di quegli autori che ho sempre un po’ snobbato. Un po’ perché piaceva a tutti (e ho sempre evitato, a torto o a ragione, gli autori elogiati dal grande pubblico). Un po’ perché avevo altre priorità di lettura. Invece ora che l’ho letto posso dire di aver appreso qualcosa dalla sua lezione, innanzitutto che disillusione non significa automaticamente mancanza della dimensione del sogno. Nei suoi racconti, in particolare in Storie di ordinaria Follia, Buk ci narra le sue innumerevoli avventure erotiche, e non sempre si capisce bene se esse siano reali o frutto della sola immaginazione. Di certo era uno a cui le donne e il sesso piacevano molto (e a chi non piacciono). Solo che lui riuscì a darvi forma letteraria, molto diretta, a volte eccessivamente diretta, fino a sfondare il muro della pornografia. Questo è senz’altro uno dei motivi per cui Bukowski è molto amato in una società edonista e pornografica come la nostra.
Bukowski era un perfetto nichilista anarchico, un De Sade dei nostri tempi, filtrato dalla malvagità del diabolico marchese, ma con molti dei suoi vizi. Amori sfrenati, tanto sesso e alcol, uniti tal volta a sbocchi di violenza e a totale irriverenza nei confronti delle autorità (soprattutto quelle accademiche o intellettuali, che detestava, ritenendole troppo ingessate e autoreferenziali, se non proprio dei cretini). Insomma quello che contava per Buk era spassarsela, sempre al limite, sempre un po’ oltre in realtà (anche se non sono rari i momenti di riflessione in cui si interroga sulla condizione dell’uomo). Non a caso finì in galera in più di un’occasione e persino nel manicomio, dove a suo dire si scopava ancor più che nella società dei c.d. sani, perché poi di sani non c’era nessuno secondo lui, anzi i sani erano i più pazzi di tutti. Una vita a sgobbare (magari a farsi fare le corna da mogli annoiate) pieni di pregiudizi e preconcetti, pronti a bastonare la sete di vivere degli spiriti liberi, per poi caderne negli stessi vizi, se mai ne avessero avuto la capacità o la possibilità. Insomma sembra che Bukowski abbia reso vivente le teorie di Nietzsche, che di certo lesse, perché nonostante l’apparente semplicità delle sue narrazioni, si intravede dietro un uomo che si era formato non solo nelle strade, ma anche in numerose letture, su tutti Kafka (che si intravede in numerosi dei suoi racconti surreali), Fante (da cui adottò il metodo di scrittura autobiografico, la scrittura irriverente e pulp) ed Hemingway.
In estrema sintesi consiglierei di leggerlo, ma di farlo non limitandosi alla sola sfera erotica, come forse in molti hanno fatto. Di Bukowski andrebbe innanzitutto assorbito lo spirito libertario, la schiettezza, a volte la brutalità (che è sempre preferibile al bigottismo o al formalismo). Molto spesso le edulcorazioni, le buone maniere, non fanno altro che nascondere la realtà vera della vita e dei rapporti personali. Siamo sicuramente soli in questo mondo, veniamo e ce ne andiamo da soli. Nel frattempo si può cercare di viverci, se non bene, almeno liberi. Iniziare a liberare il linguaggio e l’immaginazione, forse è il più grande atto rivoluzionario che questa epoca disincantata ci può offrire. E se nella vita di tutti i giorni, questo non sempre ci è consentito, per fortuna giunge in aiuto l’arte e la poesia.
Il poeta non è altro che un canale, un medium per l'infinito, che si annulla per fare posto a forze che gli sono immensamente superiori e, per certi versi, persino estranee. D'altra parte chi sono io di fronte al tutto, ma al contempo, cosa sarebbe il tutto senza di me?