Stella è una bimba tutta pepe, vispa, dagli occhi chiari e capelli di dolce fuoco. Raramente resta nella stessa posizione per più di mezzo minuto e se proprio deve farlo non lo fa di certo in silenzio: non so, in realtà, se siano più numerose le sue domande o le sue affermazioni. Sta di fatto che l’abbondante numero d’entrambe le cose testimonia d’un lato la sua grande curiosità (tanto per il mondo quanto per le persone) e dall’altro una certa consapevolezza dello stare al mondo che non è da tutti. Da tutti i bambini? No, da tutti gli esseri umani.
Ora, Stella ha, per così dire, la fortuna d’avere attorno a sé un consistente manipolo di ragazzi scalmanati che, tra un impegno di vita e l’altro, trovano sempre il tempo per quello che potremmo definire “l’Impegno” per eccellenza: tener cura dei propri luoghi e della terra che essi stessi calpestano insieme al resto degli uomini. Grazie a questi amici che rasentano appena la normalità (figuriamoci: pretendono addirittura di poter pulire un’intera spiaggia!) a Stella non mancano attenzioni e stimoli per la sua già innata fantasia.
Stella: Come sarebbe bello se tutta questa spazzatura, questi rifiuti, tutti quanti, piccoli e grandi, potessero scomparire di colpo di propria spontanea volontà.
Giuseppe: Ci risparmieremmo tanta fatica, di certo, ma… perché non provi a chiederglielo?
S: Non prendermi in giro!
G: Boh, tu prova. Non si sa mai… (va via)
S: Scusi, signor Tappo, riesce a sentirmi?
Tappo: Cosa c’è bambina?
S: Ho un nome io! Mi chiamo Stella!
T: Piacere mio, Stella, io sono il Vecchio Tappo di Bottiglia.
S: Mi può spiegare una cosa?
T: Sentiamo.
S: Perché lei, tutti i suoi colleghi tappi, e tutti gli altri signori rifiuti ve ne state qui da tanto tempo anziché andarvene dove dovreste stare?
T: Ohibò, mi stai dicendo di andarmene? Guarda che io sono qui su questa spiaggia da prima che tu nascessi. Dal 1995 per l’esattezza.
S: E prima dov’era?
T: Su un’altra spiaggia, lontano da qui.
S: E prima ancora?
T: In fabbrica, dove sono nato.
S: Va bene. Le piace qui?
T: Preferivo la mia vecchia spiaggia, a dire il vero, ma anche qui non è male. Ho molta compagnia e messo pure su famiglia.
S: Ah sì? E dov’è la sua famiglia?
T: Guarda, mia moglie è quel collo di bottiglia laggiù. E i nostri figli son tutti sparsi vicino a noi.
S: Non sapevo che pure i rifiuti mettessero su famiglia.
T: Oh insomma, andiamoci piano con questi termini! Chi dice che noi siamo rifiuti? Per voi, forse, lo siamo ma noi non ci consideriamo molto diversi da voi umani.
S: Davvero? Ma che mi dice!
T: E così e basta. Cosa credi che abbiate più di noi? Chi dice che le strade, le spiagge, i mari e le montagne siano fatti per voi e non per altri?
S: Non lo so signor Tappo. Ad ogni modo non volevo offenderla, se l’ho offesa mi scuso.
T: Mmh…
S: Quindi mi sta dicendo che nessuno di voi ha intenzione di andare via da qui?
T: Esattamente. Abbiamo per natura il diritto di starci, e sai perché?
S: Perché?
T: Perché ce lo avete dato voi. Voi ci avete dato ragione di esistere e, quindi, anche di stare dove state voi.
S: Io non ho dato un bel niente a nessun rifiut… ehm… voglio dire a nessun oggetto inanimato.
T: Tu forse no. Altri sì. Ancora ricordo il giorno in cui incominciai la mia esistenza da tappo vagante. Fu un bambino della tua età a darmela.
S: Se lo ricorda?
T: Come se fosse ieri. Non era un bimbo maleducato, per carità, nessun bambino lo è. Ma nessuno gli aveva mai detto della Legge.
S: Quale legge?
T: La Legge naturale che voi umani dovreste capire e che investe tutte le cose in tutto il mondo.
S: Che dice questa legge?
T: Che niente si crea e niente si distrugge. Tutto si trasforma. Così, quando qualcosa non ci serve più, bisogna adoperarsi per trasformarla in qualcos’altro.
S: Ho capito! Riciclare! Ne parlano sempre i miei zii e i miei amici.
T: Certo, ma non solo. Questa legge andrebbe seguita per qualsiasi cosa nel mondo, vale per tutti. Ad esempio… quand’è stata l’ultima volta che hai pianto?
S: Mmh… un po’ di tempo fa, mi ero fatta male.
T: Il pianto e il dolore di quel momento non sono mica andati via, ma si sono trasformati in esperienza e in cautela, magari.
S: È proprio così?
T: Te lo posso assicurare.
S: E allora tutti voi, tappi, bottiglie, carte, cartoni… vorreste trasformarvi?
T: Oh quanto lo desideriamo! Chi di noi è stato riciclato almeno una volta ci racconta cose meravigliose. Ci dice che è come riavere una grande felicità perduta, perché si torna ad assolvere il compito che ci è stato affidato.
S: Sarebbe?
T: Quello di aiutare voi, che domande!
S: E invece noi vi odiamo! Perché sporcate le nostre spiagge e perché non andate mai via.
T: Oh prima o poi andiamo via anche noi. Io ad esempio me ne andrò tra un’ottantina d’anni.
S: E se invece io la riciclassi?
T: Sarebbe un onore, per me e per la mia famiglia. Ma perché lo faresti?
S: Per farvi tornare utili, anziché dannosi, per ridarvi il vostro compito.
T: Eh sia. Ma mi sembri un po’ triste e perplessa. Che ti succede?
S: Non avevo mai pensato che facciamo di tutto per combattervi, quando siamo noi che vi creiamo e, per di più, non riusciamo a darvi un’esistenza decente. Ci liberiamo una volta di voi, poi di nuovo, poi di nuovo ancora, e alla fine siete così tanti che non riusciamo più ad avere il nostro spazio pulito.
T: Molti umani son così: bravissimi a pensare, a parlare e anche a fare. Ma pochissimi sanno “mantenere”.
S: Come si può cambiare per sempre questa situazione?
T: Con un’altra legge, non naturale questa volta, una legge nata da voi ma senza dubbio la migliore. Capace di risolvervi tutti i problemi.
S: Qual è questa legge?
T: Si chiama Cultura.
S: E funziona?
T: Benissimo. Ma ha bisogno di pazienza e costanza per sopravvivere. Quando si adopera, però, vige per molto molto tempo.
S: Un po’ come lei, signor Tappo.
T: Certo. Vedi, in un certo senso sono un tappo di Cultura, più di quanto certi umani non siano uomini di cultura. Ora però devo andare.
S: Va bene.
T: Prima però ho io una domanda da farti.
S: Mi dica pure.
T: Dovresti girarla a tutti quelli che incontrerai. Tutti.
S: Va bene. Lo farò.
T: Come facevate, un tempo, senza di noi?