Cosa potevamo fare ai nostri tempi? Io e un mio futuro figlio.

Ogni tanto vale la pena pensare e, di riflesso, scrivere in “negativo”. Ecco un “dialogo” con un mio futuro figlio che spero di non avere mai. Il dialogo, intendo. 

Dice: figlio! Non avercela con tuo padre più di tanto. Non voglio levarmi del tutto le mie responsabilità, per carità di Dio. Ci sono state e sono tante ma… Vedi, i tempi erano quel che erano. Cosa potevamo saperne, io, tua zia? Sì, molte cose le sapevamo, questo è vero.

Dice: lo sapevamo. Sapevamo, ad esempio, che di una buona Europa era facile riempirsi la bocca, nonché le pance. Più difficile era riempirla. L’Europa, intendo! Sapevamo che ogni anno il raccolto andava sempre peggio, sempre peggio, sempre peggio. Un anno, addirittura, non riuscimmo a trovare una ciliegia, una cazzo di ciliegia, prima di luglio. E quando arrivarono, quelle quattro palline mucate avrebbero fatto schifo pure a un poveraccio. Sapevamo pure… O meglio c’era qualcosa nell’aria, un’idea, un’astrazione, un sentore! Ecco, un sentore di quanto non vi fosse più spazio per noi già intorno ai vent’anni. E d’altronde cosa poteva fare tuo padre, sbattersene il cazzo e andarsene a Milano, a Torino, a Bologna? Sarebbe stato diverso, senza dubbio.

Dice: non che tutti se ne andassero dalla Calabria perché se ne sbattevano. Tutt’altro, tutt’altro… C’erano Roberto, quello di sotto la stazione, Margherita, quella alta, ‘na cavalla, e Rosa, Martina, Francesco 1, Francesco 2 e Francesco 3. E con loro tanti, tanti altri, ma in gamba, ma così in gamba che loro la carriera alla fine l’hanno fatta. E quei vent’anni se li saranno pure goduti, certamente tra un sacrifico e l’altro. Impararono a piangerla in silenzio, la loro casa, ringraziando Dio che su WhatsApp potevano nasconderlo, il dolore alle proprie mamme. Comunque, tra un sacrificio e l’altro se li sono goduti, i vent’anni. Tra feste, scopate, e qualche attestato di merito, qualche lode, qualche pubblicazione periodica. Periodica, cioè di tanto in tanto, sì, ce n’erano di riviste una volta anche fuori dai dentisti e dai caffè letterari fasulli.

Dice: ma credi che restare fosse stato così difficile? Manco per il cazzo, manco lontanamente quanto partire. Lascia perdere quelle vecchie narrazioni nostalgiche, la nostalgia non produce economia. Difficile era per chi non teneva nulla da perdere, una famiglia da salutare, un lavoretto in nero, insomma, era difficile per alcuni perché non avevano proprio una lira manco per le sigarette. Tuo padre, malcapitatamente, aveva un po’ di lire per le sigarette ma non volle trovarne dieci volte tanto per prendersi qualche vizietto più salutare. Chessò, ad esempio, viaggiare? Andare a visitare musei? Comprare libri su libri? Ma non prendiamoci per il culo, a papà, suvvia. Viaggiare… Libri… Che cazzo di vizi sono?

Dice: una cosa che sapevamo con certezza, ma eravamo in pochi a saperla, era che una certa cultura di propaganda della cultura, no, no seguimi che qui è importante… Era destinata a fallire. E grazie al cazzo, credevano di sostituire veramente il museo al tabacco dello stato? Le biblioteche, i seminari, le presentazioni di libri a una sana scopata con la figlia del mafiosetto locale? Sapevamo, io e tua zia principalmente, che in tanti provarono a farla questa sostituzione ma fallendo miseramente dal principio. Non mi chiedi perché? Non te ne importa niente? Perché i loro libri, le loro biblioteche, i loro musei non esistevano. Cioè… Chiarisco, esistevano in quanto costrutti, presidi di borghesizzazione del ventunesimo secolo.

Dice: una cosa di cui rimasi contento, ma credimi, popo contento, ‘na pasqua, fu quando finirono i soldi europei. I bandi. Madonna du’ Carmine, non hai idea di quanti suicidi ci furono, quante famiglie sul lastrico, quanti appartamenti svuotati. Oggi forse, da qualche parte in giro, trovi ancora qualche vecchia targa: progetto finanziato con fondi della comunità europea. Cazzate. La forma più corretta sarebbe dovuta essere: progetto realizzato con il tempo perso di un manipolo di coglionazzi patentati che pensava di cambiare lo stato delle cose. I soldi, poi, o tornavano al mittente o si trasformavano in servigi familiari. Sì, che non si sente più di tanto, ormai, sta parola, no? Servigi. Comunque fui contento, da un lato, ma dall’altro capitolammo  nel più lugubre baratro sociale.

Dice: a quel punto cosa ci restava da fare? Fare in quel momento le valige? Proprio in quel momento? Ma nemmeno per idea. Ormai era tardi. Cazzo facevo? Non era scappato quando i soldi c’erano, anche se pochi, e scappavo adesso? Mi prese, e forse fu un problema, quella follia che ti prende quando le cose vanno di merda, capisci? Cioè se tutto crolla, mannaggia la puttana, potevamo solo ricostruire no? L’unica altra strada, d’altronde, era quella di chiedere una mano a chi era riuscito a mantenere un po’ di spazio in Regione, o addirittura più in alto. No, perché per molti, là dentro fu la fine. Ma non diedero a vederlo. Fu la fine, cioè, della pacchia totale, del buonismo cattobigotto e di quel garantismo che proprio stonava, ma credimi ci stava di merda, sulle facce di chi poi tentava di insegnarci come mettere una fottuta X alle prossime elezioni. Per un’Europa unita. Per non lasciare l’Europa in balia degli squali e dei sovranisti di oggi. Cazzate. Gli squali erano già troppo in alto. E quindi molti di questi riuscirono a mantenere un minimo di potere e di controllo. Molti altri lo persero ma si curarono di non farlo sapere troppo in giro. Tornava più utile del solito, a quei tempi, fare qualche favore disinteressato.

Dice: e del tempo perso, non mi chiedi niente? Il tempo perso fu perso solo da un certo punto di vista. Certo, potevamo capirlo un po’ prima che quattro sbandati con cinque o sei libri in mano non potessero creare chissà quale disturbo. Potevamo capirlo prima che la pubblicità imperversasse ormai così tanto da far perdere di significato molte cose. Potevamo anche capire meglio, diciamo, quanto dovesse essere inutile, ormai, cercare di lavorare nel settore del risveglio sociale e culturale. D’altronde tuo padre non ha mai avuto un ottimo rapporto con la sveglia. E allora non era come adesso che si è trovato il modo per eliminare il sonno senza che ciò influisca sulla vita biologica di noi altri. A quei tempi ancora dovevi fartele quelle cinque o sei ore di sonno, la notte, per poter combinare qualcosa il giorno dopo. Era comunque inutile. Lavorare, dico. Perché fiori di avvocati, medici, insegnanti, addetti stampa e altri dovevano pur sfogare le loro frustrazioni. E ti assicuro che, stando a molte testimonianze, uno dei modi migliori per sfogarle è scrivere un libro. Uno dei peggiori era scrivere su Facebook. Uno dei mediocri, invece, essere corrispondente per qualche rivista specializzata. E tuo padre… Beh, tuo padre non ebbe abbastanza palle da mandare a fanculo l’etica che da generazioni in generazioni rompeva le scatole in casa. Come? Cos’era l’etica? Vabbò, vai a dormire mo’ che te lo spiego domani. Mi lasci una sigaretta?

Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)

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