Eravamo felici, una volta. Ora, tutt’al più, abbiamo qualche momento di serenità, tra uno sconforto e l’altro, tra una spugna da gettare e l’altra. La nostra fame di dinamismo e di scoperta, la nostra curiosità… son riusciti a succhiarcele quasi fino in fondo. Rimangono i rimasugli, da leccare sul fondo del bicchiere. Ma noi non leccheremo. I miei film preferiti son sempre stati quelli in cui il finale l’eroismo, quello vero, arrivava al grande sacrificio, all’accettazione, con dignità, della fine. Come a dire… se proprio deve finire che finisca come dico io. Ma non è neppure questo il caso.
Bene, si cresce. E son cresciuto fin troppo mentre l’ho ripetuto. Fisiologicamente provato da una vita che mette alla prova ho finalmente compreso del perché più cresciamo più ci sembra di allontanarci da quell’arcadica felicità giovanile. E c’è chi la chiama spensieratezza. Ma quale spensieratezza!? Pure i pensieri sembravano più vorticosi e colorati fino al passaggio alla dura vita d’adulti. Gioventù non è spensieratezza, infatti, ma capacità di farsi manovrare dai pensieri senza finire allo sbando. Eccolo dunque l’atteso risultato: il mondo è troppo complesso per chiunque di noi. E più cresciamo più affiniamo le nostre capacità di comprensione. Ne consegue che più cresciamo… più diventa pesante reggere una tale complessità di realtà.
Tra i meandri labirintici di questa realtà che ci circonda, ecco profilarsi il piccolo uomo fragile con un grande dono: la contaminazione. Ci si ammala di fragilità, si contagia e si resta contagiati molto facilmente. Chiamala, se vuoi, interesse economico, chiamala spregiudicatezza, chiamala persino caparbietà, se suona più gentile. Rimane fragilità. Ed io ho ancora ricordo di quando tanto tempo fa si corresse la mia sensibilità in fragilità. Restai quasi offeso.
Sì, perché tra i sempre labirintici meandri della realtà che ci circonda, v’è poi l’unico spiraglio di forza che può dare speranza fino all’ultimo respiro: la sensibilità. Purtroppo, a differenza dell’altra, questa non si trasmette facilmente. C’è chi dice ch’è un dono di Dio, o della natura, impossibile, insomma, da controllare e manovrare. C’è chi la produce in “essenza di pietismo” o in “parfume de buonismo”, ma diffidate dalle imitazioni. La sensibilità vera è dono raro. Ed io vado fiero di conoscere almeno una persona dotata di questa qualità a livelli d’alta rarità. Finché lotterà… avrò sempre un buon motivo. Per tutto.
Di buoni motivi ne abbiamo, infatti, molti più di quanto noi stessi immaginiamo. Abbiamo buoni motivi per tutte le occasioni, per ogni stagione. Per odiare, per invidiare, per sperare, per gioire. Ne abbiamo molti soprattutto per amare. Quando tutti i tuoi buoni motivi per amare si racchiudono in un unico petto, poi, è qualcosa di speciale. Come quella sensibilità di prima.
Abbiamo tanti buoni motivi anche per leccarci le nostre ferite, amico mio, ma noi non le leccheremo. Noi non leccheremo.
Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)