“L’ Italia pianga i suoi morti”, a Bergamo non si canta

 

Oggi l’Italia è in lutto.

Risalgono alle ultime ore alcune delle immagini di Bergamo in lutto: decine e decine di bare allineate nelle chiese e negli ospedali, senza nessun degno funerale e senza l’ultimo saluto dei familiari.

Sono immagini toccanti, commoventi, e chiunque si soffermi a guardarle anche per qualche secondo non può che restarne addolorato.

Sono le immagini della nostra Italia, della sofferenza, della indifferenza e della fatica nel contempo. Bastano pochi click e già la notizia scompare dai nostri occhi, ma il dolore per chi lo prova sulla propria pelle, notte e giorno, resta, non va via.

Loro non ce l’hanno fatta, sebbene abbiano lottato accanto a medici ed infermieri che, sempre lì a Bergamo, non hanno più gli strumenti sufficienti per salvare vite, e anche loro adesso sono in buona percentuale infettati.

Non ci saranno cerimonie e non ci saranno musiche per le bare in fila che aspettano di essere cremate, (i forni crematori non bastano e per le pompe funebri ogni 30 minuti c’è un nuovo morto), sono bare che richiamano alla mente i nostri morti di ritorno dalla guerra per difendere la patria, col tricolore attaccato sul legno.

Ora una enorme bandiera italiana ricopre la chiesa di Bergamo e i palazzi storici più noti. Bergamo, oggi, non canta ma conta i suoi morti: circa un centinaio in tutto. Il silenzio tratteggia volti, conosciuti o meno, racconta storie, attiva l’immaginazione e infine custodisce memoria.

Chi resta oggi porta avanti una testimonianza inedita, quella che mai si era pensata di trasmettere ai nostri figli, ai nostri nipoti, a un futuro sempre più lontano perché impossibile o vicino perché troppo simile al presente.

Il Governo, attento all’emergenza, spiega di coronavirus, di sanità, di economia, e tutte le informazioni viaggiano veloci fra social network impazziti fra dramma e superficialità. Le immagini di chi muore arrivano in ritardo, o non arrivano affatto. Sono in secondo piano, insomma. In un momento in cui scienza e politica siedono al tavolo delle sperimentazioni i malati non sono altro che test, non c’è più spazio per le emozioni, i sentimenti, si salvi chi può!

L’individualismo corre ai ripari, “speriamo non venga a me”, intanto i giorni di ripetono seguendo particolari schemi inflessibili, si ripetono tutti uguali, e siamo sempre più poveri.

Mentre la primavera sboccia imperterrita, col suo anticipo, intere famiglie piangono la perdita dei propri cari. Sono i nonni, gli zii, i fratelli o le sorelle di tutti noi che restiamo,  restiamo col fiato sospeso e poi commentiamo dai nostri divani all’interno delle nostre case…

Che questa quarantena, per chi resta, sia motivo ampio di riflessione fra tutto ciò che ci è stato concesso e non lo abbiamo saputo afferrare e tutto ciò che ci è stato tolto, affinché possiamo meglio comprendere tutto ciò che potrà essere con una consapevolezza maggiore e tesa all’umanità, alla prossimità, e alla apertura del mondo.

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.