“Vivere è come scalare una montagna”. Lo sentiamo dire spesso – sin dalla adolescenza – che sia fra amici, con le prime cotte sentimentali, nell’approccio con lo studio (con la scaletta degli esami all’Università), oppure quando hai a che fare con una malattia, quando diventi grande all’improvviso e ti lasci alle spalle tanti giorni intensi. È così. E la quotidianità di ognuno lo dimostra, con le sue incertezze, con le probabili emozioni cangianti, quando inseguiamo ciò che sentiamo. Non esiste felicità senza sacrificio.
Allo stesso modo, quando ti incammini verso la cima di una impervia montagna, c’è la voglia di vedere tutto dall’alto, vedere com’è, e c’è pure la stanchezza, la tentazione di restare in basso, per evitare di sforzarti. Una metafora antica ma pur sempre attuale che serve a comprendere il valore di ogni cosa. Dentro quel cammino c’è molto di più di due piedi in salita, del respiro corto, dei battiti accelerati e del sudore. Nel cammino c’è quanto non può esserci nell’arrivo: la conoscenza. Quella che alla domanda “ma io chi sono”? sa dare finalmente una risposta.
Impari a dosare i tuoi passi e a dare fiducia ai passi di chi ti sta attorno. Ti puoi fermare, respirare, ti puoi perdere, e puoi piangere al buio, poco conta tutto questo. Alla fine, oltre alle nuvole e al sole, avrai assorbito una lezione nuova. Non basta la bellezza di una cartolina. Per vivere ci vuole coraggio. Altrimenti è sopravvivere. Allora la bellezza sarà in uno sguardo condiviso, sarà nell’ascolto reciproco, nel racconto di una storia, in una storia che sa di verità, e nell’immaginare una storia con nuove verità, tutte quelle che ancora rimangono dentro di noi inesplorate, e che grazie all’amore possiamo toccare da vicino. Grazie all’amore possiamo diventare altro da noi, da ciò che siamo, e da ciò che rappresentiamo nella nostra o altrui coscienza. Possiamo sorprenderci, non annoiarci mai, essere altro dalle fragilità e dalle insicurezze di una vita.
Quando si scala una montagna torni sempre diversa a casa. C’è una nuova consapevolezza. Qualcosa che prima mancava – non c’era mai stata – e che sebbene può inquietare ti era tanto necessaria. Ti sarà stato d’aiuto, quel cammino, per capire cosa vuoi e cosa non vuoi, per dire: questi sono i miei limiti, alcuni li lascio dove stanno, altri li saluto per sempre.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".