A Lamezia si soffre di una strana malattia, difficile riconoscerne la diagnosi perfetta, a volte si camuffa di ipocrisia, altre volte di vittimismo, ma la peggiore fra tutte è la morale, la doppia morale.
Insomma, in tutti i casi la coscienza dei lametini è così contorta che a stento riescono a ricordarsi del proprio nome e cognome. Già, perché la malattia nel profondo ha a che fare con la perdita della memoria. Ma non si tratta di Alzheimer no, è la perdita della memoria collettiva, la memoria identitaria, e pure la memoria vigliacca che dimentica gli episodi più drammatici, di cui tutti dovremmo vergognarci un po’.
Così accade che per strada una ragazza venga infastidita da qualcuno e chi passa vicino continua ad andare dritto per la sua strada, ché la sua strada è sempre lontana da quella degli altri. Non ci importa proprio niente.
Accade che un uomo abusi di una ragazzina, che questo venga denunciato e che dopo qualche mese o anno ci si dimentichi dell’orribile vicenda. Tutto neutralizzato. Cristallizzato.
I lametini sono persone di leopardiana memoria, fra tutti ad amare Leopardi in città sono quelli a cui piace indossare pellicce, fumare sigari, quelli che di scandalizzano a leggere un romanzo che tratta di violenza ma che legittimano, aprono le braccia, a chi di fatto è icona di gesti scabrosi nella nostra quotidiana cittadina. Come quei salotti pieni di gente morta che finge di vivere dietro sorrisi finti e siliconati.
Non si può pretendere che la politica cambi se i lametini, tutti, non cominciano a diagnosticarsi la malattia della perdita di memoria, di dignità, di reputazione, di verità. E quale insegnamento, se ancora possiamo parlare di questo, possiamo auspicare verso le nuove generazioni?